In molti Paesi del mondo le hanno già adottate, in altri si stanno organizzando per adottarle al più presto. Eppure sono ancora discordanti i pareri circa le applicazioni per smartphone per tracciare i contatti tra le persone e cercare così di contenere la diffusione del contagio del nuovo coronavirus. Un gruppo di 300 tra ricercatori, accademici e studiosi da tutto il mondo, fra i quali nove lavorano in Italia, hanno lanciato un appello affinché non si perda di vista la giusta direzione da intraprendere.
Decentralizzare o centralizzare
Come si legge su Repubblica.it, i 300 esperti mettono in evidenza come il sistema di raccolta delle app di “contact tracing” potrebbero tradursi “in sistemi che consentirebbero una sorveglianza senza precedenti della società”. I firmatari della lettera sottolineano un aspetto secondo loro particolarmente preoccupante, ovvero quello del sistema di raccolta delle informazioni, che loro vorrebbero decentralizzato mentre alcuni Paesi, come Francia e Germania, vanno verso la centralizzazione.
“Dobbiamo garantire che (questi sistemi di tracciamento, ndr) preservino la privacy”, scrivono nel loro appello perché, come spiega Dario Fiore da Madrid, ricercatore 37enne siciliano dell’Imdea e uno dei portavoce della petizione, “solo un sistema decentralizzato impedirebbe un domani di usare queste informazioni nel modo sbagliato”. Nell’appello viene fatto riferimento alle linee guida della Commissione europea – sistema di tracciamento anonimo e senza geolocalizzazione, basato su bluetooth e volontarietà – ma il timore è che queste linee guida potrebbero non venir seguite. Il sospetto, si legge nell’articolo su Repubblica, nasce dal fatto che la scorsa settimana il consorzio il consorzio Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing (Pepp-PT), nato per sviluppare soluzioni di “contact tracing”, pare abbia accantonato senza spiegazioni il progetto Dp-3T che puntava alla decentralizzazione.
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Le linee guida europee
Secondo le indicazioni dell’Unione europea il sistema di tracciamento, anonimo e senza geolocalizzazione, utilizzerà il bluetooth e la volontarietà di chi vorrà farsi tracciare, con “soluzioni che minimizzeranno il trattamento dei dati personali”. Il bluetooth servirà a “stimare con sufficiente precisione”, circa 1 metro, la vicinanza tra le persone per rendere efficace l’avvertimento se si è venuti in contatto con una persona positiva al Covid-19. “I dati sulla posizione dei cittadini non sono necessari né consigliati ai fini del tracciamento del contagio”, sottolinea Bruxelles, precisando che l’obiettivo delle app “non è seguire i movimenti delle persone o far rispettare le regole” perché questo “creerebbe rilevanti problemi di sicurezza e privacy“.
Una volta installate queste app genereranno un codice alfanumerico indipendente dall’identità del possessore dello smartphone, e compileranno poi progressivamente un registro cifrato dei contatti ravvicinati avvenuti con altri smartphone (sfruttando il segnale bluetooth). Chi dovesse risultare positivo al Covid-19 riceverà il messaggio di allerta sull’app dal personale medico dopo il test: a quel punto verrà inviata un’allerta a tutti coloro che sono stati a contatto con il contagiato per un certo periodo di tempo ed entro una determinata distanza, e che quindi potrebbero essere a rischio infezione. Ma, conclude Fiore, “un conto è conservare queste informazioni su un server centrale, un altro è avere sul server solo il codice di chi è risultato positivo e poi gli altri smartphone si connettono periodicamente per controllare se lo abbiamo incontrato, senza trasferire alcun nostro dato“.